Macchine scomode

L'umanità del Ventunesimo secolo si sveglia col gesto essenziale -- nostra nuova preghiera mattutina -- della connessione. Sblocchiamo un device, ri-entriamo nel reame digitale di Internet. O meglio: lo viviamo, poiché nell'epoca dell'Onlife la distinzione fra online e offline è solo teorica: l'interdipendenza fra le due dimensioni s'è fatta troppo intima per poter essere funzionalmente scissa. Marshall McLuhan, la più classica fonte di intuizioni sulla comunicazione, spiegava i media come estensioni del nostro corpo. Come previsto, la loro capacità estensiva è diventata intimissima. Dall'ubiquità epidermica dei dispositivi sino ai nostri neuroni. Pensiamo al meccanismo circolare della scrittura online: pubblichiamo i nostri pensieri con parole ottimizzate per la macchine, e le macchine vengono addestrate su quelle parole per aiutarci ad aumentare le nostre capacità di pensiero. Affascinante. Ma dobbiamo anche esercitare il nostro diritto di critica con una domanda:

siamo sicuri che sia questa la vita digitale che vorremmo?

«It didn't have to be this way»

Partirei dall'aneddotico. Qualche giorno fa, leggevo la chiusura di un articolo di Cory Doctorow sull'attuale sviluppo di Internet, diceva: «it didn't have to be this way». Poche ore dopo, nel mio telefono, ricevevo una newsletter con oggetto «il futuro dei social ci fa paura». C'è un costante senso di fastidio e inquietudine nei confronti della nostra vita connessa. E non mi si taccia di esser vittima della bolla di paure «educate» di chi a diverso titolo lavora nell'industria dell'informazione. Questo sentimento tracima tali barriere, per tradursi nelle varie culture del minimalismo, della mindfulness, del digital detox. E questa è un'inquietudine che segna -- devo ripetetemi: in maniera davvero affascinante -- una stortura, se pensiamo che sia i computer che Internet sono nati nelle Università o nelle case dei primi hacker, creazioni di una comunità che vedeva nella frontiera tecnologica l'espressione di un'idea di progresso che ancora non aveva connotati negativi.

Proprio ora che sono entrate pienamente nella nostra vita pubblica e privata, materiale e immateriale, ci ritroviamo in un mondo fatto di macchine scomode. Viviamo in nuovo ambiente costruitoci sempre più in maniera antagonistica. Hanno iniziato carezzandoci la pelle, per finire col generarci un inesauribile prurito. E continuiamo a grattarci, sofferenti ma assuefatti al piacere momentaneo che ci procurano. Non doveva andare così e, tornando alla domanda di partenza, direi che no: non è questo il digitale che vorrei.

Una piccola frazione di Internet

Credo che la digitalizzazione sarà la grande opportunità del nostro secolo, se verrà messa al servizio della comunità. Tutti noi siamo chiamati a sperimentare le incredibili opportunità che oggi ci offre, senza rassegnarci alle sue storture. Non esiste alcuna legge fisica, nessuna condanna divina, che ci costringa ad accettare sistemi che ignorino la nostra privacy, o ci umilino presupponendo la nostra incapacità di comprenderli. Dobbiamo fare di ogni click un'occasione di crescita.

Con questo spirito nasce il mio blog: per essere la mia piccola frazione di Internet. Programmato ex-novo, senza pretese commerciali, aperto alle critiche e ai consigli, forse un po' antiquato ma il più possibile onesto e sincero. In esso, il lettore vi troverà molto di me: il mio portfolio, le mie riflessioni, vizi e virtù. Ne farò il mezzo e la destinazione del mio sguardo sulle cose -- uno spazio ibrido per autobiografie, idee, esperimenti. Per vivere l'Onlife a modo mio, comodamente.